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Intervista a Giuseppe Francesco Nallo

1. Secondo lei, esiste la possibilità di un ritorno al nucleare in Italia? Se sì, quale potrebbe essere l’approccio ideale?

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"Sicuramente esiste la possibilità. L’Italia si trova nella stessa situazione degli Stati non nucleari, quindi dovrebbe partire con il “Milestones Approach”, un metodo completo e in più fasi proposto dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica per assistere i Paesi che stanno considerando o pianificando la loro prima centrale nucleare. Il metodo prevede una timeline di circa quindici anni che parte dalla creazione del consenso pubblico, procedendo poi con la definizione di un ente regolatore in grado di fare licensing degli impianti, e con la creazione di un’infrastruttura industriale (una serie di aziende) in grado di realizzare le componenti. A circa 6-7 anni di distanza dall’organizzazione di queste prime fasi, potranno avere inizio i lavori di costruzione della centrale. Quindi il tempo che intercorre tra la considerazione iniziale dell’opzione nucleare di un Paese e l’operatività della sua prima centrale nucleare è di circa 15 anni. La PNNS (Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile) coinvolge 8-9 tavoli di esperti dove si discute se sia necessario il nucleare, se sia possibile e come ottenere il consenso italiani. Queste valutazioni stanno attualmente venendo fatte dal Governo. La possibilità teorica di un ritorno al nucleare c’è e sembra esserci anche un consenso abbastanza ampio (poco più del 50% degli italiani sembra essere favorevole). In più, possiamo dire che la ricerca nucleare italiana è molto attiva e trainante su diversi fronti. Resta solo da scoprire quali saranno le decisioni del Governo e come le attuerà. In ogni caso, prima di muovere dei passi in qualsivoglia direzione credo sia necessario elaborare un piano energetico chiaro a medio e lungo termine. Questo piano dovrà ovviamente tenere in considerazione scelte politiche ma anche e soprattutto dati tecnici aggiornati. Dopodiché gli italiani verrebbero sicuramente chiamati alle urne per un nuovo referendum".  

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2. L’energia nucleare potrebbe davvero ridurre la dipendenza energetica dell’Italia dall’estero?

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"Si. Pensando al mix energetico italiano attuale, in Italia utilizziamo fonti rinnovabili e siamo in linea con il trend di crescita in questo ambito, ma al momento sarebbe ancora impossibile basarci solo su di esse per una sostituzione del gas (che è quello che usiamo di più) nel nostro mix energetico. Inoltre, le fonti rinnovabili non garantiscono un rifornimento regolare e continuo vista la loro dipendenza dalle condizioni meteorologiche. Pertanto, aggiungere il nucleare al mix potrebbe costituire una valida opzione, nonché la più economica ed ecologica. 

Non abbiamo molte riserve di uranio in Italia, quindi la domanda che spesso ci si pone è se finiremmo solo per passare da una dipendenza dai combustibili fossili ad una dall’uranio. La risposta è che le centrali bruciano uranio in modo efficiente, consumandone poco per volta, dunque i costi sarebbero minori per l’uranio, di cui tra l’altro il Kazakistan e altri Stati “amici” dell’Italia posseggono riserve e potrebbero perciò rifornirci. Insomma, resteremmo comunque dipendenti da altri Paesi ma in misura molto minore. In generale, una differenziazione delle fonti e l’utilizzo anche di fonti (come quella nucleare) meno soggette a brusche oscillazioni del prezzo di mercato e provenienti da aree geografiche (e geopolitiche) diverse andrebbero nella direzione di rendere più sicuri e stabili gli approvvigionamenti".

 

3. Quali sono, secondo lei, i possibili scenari futuri per l’energia nucleare in Europa e nel mondo?

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"L' Europa è già un continente in cui si fa grande uso di nucleare (il 25% dell’energia proviene dal nucleare). Per mantenere queste percentuali di generazione nucleare è necessario creare nuovi impianti, sia perché il fabbisogno di elettricità è in aumento, sia perché i vecchi impianti devono essere sostituiti. Anche solo per mantenere le percentuali di nucleare di oggi è quindi necessario molto lavoro. Ci sarà bisogno di nuovi progetti. Attualmente sono in funzione centrali di generazione 3+ con raffreddatori ad acqua. Queste centrali potrebbero essere affiancate da centrali di generazione 4 quando queste ultime verranno rese disponibili. In futuro vi sarà accesso a SMR e a reattori di generazione 4 in Europa, USA, Russia, India, Canada e Cina (che con i suoi 40 reattori in costruzione al momento occupa il primo posto nella classifica per numero di reattori in costruzione). Resta fuori il resto del mondo, Paesi che non hanno la cultura del nucleare oggi ma il cui fabbisogno di energia primaria ed elettrica sta crescendo. Proprio per questo esistono partnership con Paesi come la Russia e la Cina per costruire reattori anche in Paesi più arretrati sotto questo punto di vista, non nucleari, come Egitto e Arabia Saudita. Queste partnership costituiscono delle vere e proprie opportunità per tutti perché si tratta di un mercato nuovo che va ad aprirsi e perché dal punto di vista della decarbonizzazione serve tanta energia e a basse emissioni che il nucleare può offrire. Inoltre, anche dal punto di vista ingegneristico e scientifico sarebbe ottimo se altri Paesi si avvicinassero al nucleare".

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4. Qual è lo stato attuale del progetto ITER?​

 

"Parliamo di un progetto da svariate decine di miliardi e di una portata senza precedenti, per cui procede molto a rilento. Si aspettava entro questo decennio il primo plasma di ITER, ma verrà rimandato al 2035. Ci sono grandi ritardi non solo perché si tratta di un lavoro complesso e mai fatto prima ma anche perché necessita della conclusione di accordi internazionali per essere portato avanti e perché vi sono problemi dal punto di vista dell’ingegneria e della meccanica dati dall’utilizzo di componenti provenienti da tutto il mondo e magari per questo difficili da assemblare tra loro. In più, è l’unico progetto in cui sia rimasta la Russia. La strada è ancora lunga, sono necessari almeno altri 10 anni, e non dimentichiamo che ITER ha lo scopo di dimostrare comunque solo la fattibilità fisica e non ancora economica di un reattore a fusione. Perciò non saremo pronti a costruire questi reattori tra 10 anni: occorrerà prima lavorare al DEMO europeo, reattore dimostrativo, che sarà pronto intorno al 2060". 

 

5. La fusione potrebbe sostituire completamente altre fonti di energia come le rinnovabili o la fissione nucleare? Oppure sarà complementare? 

 

"Difficile dirlo, dal momento che non esistono ancora tecnologie funzionanti. Certamente le potenzialità della fonte nucleare da fusione sono enormi, ma quanto sarà realmente sfruttabile anche su scala locale e quanto potrà essere utilizzata per seguire la curva di domanda dipenderà dalle tecnologie che verranno industrializzate.

Probabilmente sarà parte di un mix energetico in cui ogni fonte svolgerà il proprio ruolo".

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