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Il nucleare in Italia: un settore abbandonato da tempo 

Fin dalla fine della Seconda guerra mondiale l’Italia si è impegnata a creare un programma nucleare nazionale: nel 1946 fu fondato a Milano il CISE (Centro Informazioni Studi ed Esperienze) ma questo primo tentativo trovò l’opposizione degli Stati Uniti d’America. Questi ultimi, infatti, con l’Atomic Energy Act del 1946, limitarono l’utilizzo delle tecnologie nucleari ai Paesi nemici durante la guerra. In più, il Piano Marshall non prevedeva lo stanziamento di fondi destinati all’implementazione del nucleare. Lo Stato italiano però non desistette: nel 1951 fu fondato l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) e nel 1952 il CNRN (Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari), che si occupava di nucleare civile.

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I lavori di costruzione del primo impianto nucleare italiano iniziarono nel 1958. Situato a Latina, entrò in funzione nel maggio 1963 ed era all'epoca il più potente d'Europa.

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Dopodiché vennero costruite altre tre centrali: una a Sessa Aurunca in provincia di Caserta, in attività tra il 1964 ed il 1982; una a Trino Vercellese, la famosa Centrale Nucleare Enrico Fermi, rimasta in funzione tra il 1964 ed il 1990; ed infine, l’ultimo sito nucleare costruito sul territorio italiano, sorto tra il 1970 ed il 1978, situato a Caorso, in provincia di Piacenza. 

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Il piano nucleare italiano ebbe uno sviluppo importante a tal punto che nel 1966 l’Italia era il terzo produttore al mondo di energia nucleare dopo gli Stati Uniti d’America ed il Regno Unito.

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Nel corso degli anni ’70, intanto, il sentimento antinucleare in Italia crebbe. Nonostante ciò, l'industria nucleare continuò a ricevere sostegno dal Governo nazionale, che nel 1981 adottò un piano energetico per la realizzazione di tre nuovi impianti in Piemonte, Lombardia e Puglia.

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Nel marzo 1986 (un mese prima dell'incidente di Chernobyl) il Parlamento italiano adottò un nuovo piano energetico che prevedeva un ulteriore aumento della capacità nucleare. L'incidente di Chernobyl innescò, però, un dibattito sull'energia nucleare e, nel 1987, una Conferenza Nazionale sull'Energia esaminò nuovamente il programma nucleare. Sebbene la conferenza fosse generalmente favorevole a continuare con il programma, a seguito del referendum del novembre 1987, il governo decise di porre fine al programma. I quesiti del referendum non proibivano tassativamente la costruzione di nuove centrali e nemmeno avrebbero imposto la chiusura dei reattori funzionanti, ma riflettevano comunque in maniera ufficiale la posizione del popolo italiano. Circa il 65% degli italiani si presentò alle urne e vinse il sì per ognuno dei tre quesiti presentati.

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Di conseguenza, dopo questo esito, il nucleare venne abbandonato in via definitiva. Le ultime due centrali funzionanti (Trino e Caorso) vennero dismesse nel 1990. Dal 1999 tutti i siti sono di proprietà e gestiti dalla società statale SOGIN (Società Gestione Impianti Nucleari), che si occupa del decommissioning.

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Il dibattito politico sul nucleare, però, non si fermò con la chiusura delle ultime centrali e in particolare, con il governo Berlusconi IV, il confronto sul possibile sfruttamento di questa risorsa si riaffacciò sulla scena politica nazionale. Per far fronte all’impennata dei prezzi di gas e petrolio avvenuta tra il 2005 e il 2008, l’allora ministro per lo sviluppo economico Claudio Scajola propose un piano, supportato da ENEL, Francia e Stati Uniti d’America, per costruire dieci nuove centrali nucleari, che avrebbero prodotto circa il 25% del fabbisogno nazionale di energia elettrica. Il progetto venne però fermato da un referendum che, ancora una volta, si svolse all’ombra di un disastro nucleare: quello di Fukushima Dai-ichi del 2011. Circa il 54% degli italiani votò e vinse nettamente il sì con il 94% dei votanti.

 

L'opinione pubblica è sempre stata sfavorevole a partire dagli anni 70, ma oggi si iniziano a constatare dei miglioramenti: poco più della metà della popolazione sarebbe a favore del nucleare, quindi, se si dovesse indire un nuovo referendum, l'esito potrebbe essere per la prima volta favorevole a uno sviluppo nucleare.

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In Italia, oltre alle centrali destinate alla produzione di energia elettrica, sono esistiti ed esistono tuttora dei reattori di ricerca sparsi sul territorio nazionale. Negli anni Settanta queste strutture erano 18, oggi ne sono rimasti attivi solo quattro:

• Pavia, gestito dall’Università di Pavia e attivo dal 1965

• Palermo, gestito dall’Università Di Palermo e attivo dal 1960

• Santa Maria di Galeria (Roma), gestito dall’ENEA (Ente Nazionale Energia Atomica), attivo tra il 1960 e il 1987 e riattivato nel 2010

• Santa Maria di Galeria (Roma), gestito dall’ENEA, attivo tra il 1971 e il 1987 e riattivato nel 2010

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